“Rivendichiamo il nostro ruolo nei rapporti bilaterali, in virtù del rapporto privilegiato che possiamo vantare col popolo libico”. Francesca Prina Ricotti, neo presidente dell’associazione degli Italiani di Libia, chiarisce il pensiero delle migliaia di italo-libici, a margine della visita del premier Draghi in Libia.
Come vedono gli italiani di Libia l’attivismo del governo italiano verso il Paese, con la visita di Draghi e la recente doppia visita di Di Maio?
Non possiamo che essere soddisfatti dei tentativi del governo italiano di riacquistare la centralità politica in Libia, una centralità che, come ha dichiarato il premier, è frutta di un’antica amicizia. Noi italiani di Libia abbiamo sempre mantenuto solidi rapporti con la popolazione libica e una vicinanza emotiva alle travagliate vicende di quel Paese. Ora è venuto il momento di fare la nostra parte e di partecipare a questo “momento unico” di ricostruzione. Ringraziamo la presenza costante dell’Ambasciatore Buccino in ogni aspetto di questo processo, un lavoro certosino di trait d’union che coinvolge tutti, anche noi italiani di Libia.
Perché proprio gli italiani di Libia?
Siamo un asset fondamentale dell’Italia per lo sviluppo della relazione in Libia. Perché gli italiani di Libia erano e sono cittadini e imprenditori che hanno vissuto in Libia e che in tutti questi anni non hanno fatto che accrescere la loro capacità imprenditoriale e hanno monitorato giorno per giorno quello che succedeva in Libia.
Potete vantare anche dei contatti nel Paese?
Noi conosciamo molte personalità istituzionali e della cultura libici oltre che leader politici libici. E tutto questo lo mettiamo a disposizione del presidente Draghi.
L’associazione degli italiani di Libia perciò è un soggetto eccellente per lo sviluppo della relazione bilaterale economica tra i due paesi. Si tratta di persone e personale che conosce perfettamente i due contesti culturali, è bilingue, conosce come sviluppare il business da ambedue le sponde del Mediterraneo.
Cosa può fare l’Associazione degli italiani di Libia oggi?
Molte cose. Siamo pronti con dei progetti nei campi della cultura, della formazione e della piccola imprenditoria, nel caso in cui il governo italiano – come ritengo sia naturale, dato il legame unico che ci unisce alla Libia – voglia considerarci un interlocutore nel quadro dei rapporti bilaterali.
In particolare?
Possiamo essere protagonisti in progetti di insegnamento della lingua italiana, nel coadiuvare gli istituti di formazione libici nei campi della cultura e della storia, nell’importanza del contributo italiano allo sviluppo del Paese, ma anche nella formazione di giovani libici in Italia, nei servizi assistenziali alla persona in ambito sanitario, nel creare una rete imprenditoriale che supporti le grandi aziende nella ricostruzione della Libia e nel fare matching tra le imprese.
È un valore aggiunto essere nati in Libia?
Assolutamente. Non va sottovalutata la giusta diffidenza dei libici nei confronti degli stranieri, dopo 40 anni di dittatura e 10 di guerra civile. Credo di non sbagliarmi dicendo che ci può essere una maggiore apertura e una più ricca interlocuzione nei confronti di persone che sono nate e vissute in Libia come loro.
Il trattato italo libico del 2008 che si pensa di riattivare può essere un buon punto di partenza secondo voi?
Certamente. Il Trattato di Bengasi dell’agosto 2008 provava a superare definitivamente le incomprensioni storiche tra i due Paesi e qualche capriccio di troppo di Gheddafi. Inoltre vi era riconosciuta l’importanza della vicenda storica degli italiani di Libia, attraverso la concessione del visto turistico a tutti gli italiani nati nel Paese (finora negato della Jamahirya) e, soprattutto, l’inserimento di uno specifico articolo nella legge di ratifica sui beni confiscati dal Colonnello.
A proposito dei crediti, a che punto siamo?
Nel trattato veniva riconosciuto il lascito degli italiani in Libia, attraverso un parziale indennizzo. Oggi chiediamo decisamente di essere parte attiva nei lavori delle commissioni istituzionali che riguardano i nostri crediti storici verso la Libia. Non bisogna parlare solo dei crediti delle imprese italiane per le commesse non onorate negli anni 80. Noi partiamo da questi crediti storici che derivano da un preciso diritto violato e li possiamo investire nella relazione con la Libia, come nessun altro può fare al posto nostro. Mi auguro che questo sia ben chiaro ai nostri governanti.
Daniele Lombardi, classe 1973, è giornalista, scrittore e grafico. Direttore responsabile della rivista “Italiani di Libia”. Ha scritto il saggio “Profughi. Dai campi agricoli della Libia ai campi di accoglienza in Italia” e il noir “La confraternita del lupo”. Ha collaborato con ANSA, Notizie Verdi, Quotidiano della Sera e altre testate locali. Ha fondato Scriptalab, agenzia di comunicazione divulgativa e editing per le aziende. Laureato in Sociologia Politica, ha un master in critica giornalistica conseguito presso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.
Non scordate i libici italiani di padre libico e mamma italiana che hanno sopportato gli abusi del dittatore e che potrebbero essere delle vere risorse per lo sviluppo della cooperazione dei due popoli ing Franka Zakaria ec funzionario dell’ ICE di Tripoli …attualmente responsabile delle Relazioni internazionali per una linea aerea libica per i voli VIP…. anche Flight Safety Manager per la medesima mio email leptisly@yahoo.com
Qui di seguito riporto un aneddoto che mi ha riguardato a dimostrazione degli ottimi rapporti intercorsi tra noi Italiani nati in Libia e i Libici, a prescindere dai fatti politici accaduti nel 1970 che hanno portato all’espulsione della Comunità italiana e confisca dei beni in quel Paese. Nel 1958 appena diplomato geometra fui assunto al Ministero dell’Agricoltura al Dipartimento della Riforma Agraria. L’esame consistette nella prova-guida di un Land Rover sulle dune di Ain Zara: assumendomi avevano un geometra e un autista, due lavori un solo stipendio. Dopo avere lavorato dal 1958 al 1970 al Ministero dove ebbi incarichi responsabili tra cui la nomina di capo-progetto dei comprensori agricoli di Nahima (Sliten) e Saadia (Azizia) fui costretto a rimpatriare nel 1970 a seguito dei noti fatti e trovai lavoro a Milano in una ditta specializzata in Attrezzature zootecniche che nel 1972 vinse un appalto in Libia, così quell’anno ci tornai per seguirne la realizzazione. All’aeroporto di Ben-Gashir presentai lo stesso passaporto dell’espulsione dove di fronte alla pagina con il timbro rosso dell’espulsione c’era la pagina con il visto di entrata rilasciato dal Consolato libico di Milano: mandai in tilt l’intero apparato addetto al controllo e mi isolarono in una stanza. Dopo circa un’ora un ufficiale si presentò e mi ridette il passaporto dicendo che potevo andare, le mie credenziali erano buone ed il Dipartimento Zootecnico aveva sollecitato la mia presenza. Solo i Governi italiani ci hanno ignorato quando siamo rimpatriati ed invece potevamo essere utili per riallacciare i rapporti con la Liba nei vari settori del lavoro. Ora quelli della mia generazione siamo un po’ avanti con gli anni, per alcuni di noi è tardi e resta un grande rammarico.