Al Signor Presidente del Senato e agli Onorevoli Senatori

 

Al Signor Presidente della Camera dei Deputati e agli Onorevoli Deputati

Interpretazione autentica dell’art. 1 della legge 24 maggio 1970 n.336.

Questa Associazione, che – come è noto – tutela i diritti e gli interessi dei Profughi dalla Libia, ha deciso di utilizzare lo strumento della Petizione per chiedere al Parlamento Italiano di sanare con urgenza, anche se tardivamente, una discriminante interpretazione della legge 336/70 che ha arrecato e arreca gravi danni agli interessi dei lavoratori rimpatriati dalla Libia a seguito dell’espulsione operata da Gheddafi.

La presente petizione è volta a chiedere l’emanazione di una norma di interpretazione autentica del disposto dell’art. 1 della legge 24 maggio 1970 n. 336 (Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati) laddove prevede che delle agevolazioni della legge stessa possano beneficiare “i profughi per l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate”.

Le parole “categorie equiparate” usate dagli estensori della legge hanno dato adito nel tempo a contrastanti interpretazioni nell’ambito delle pubbliche amministrazioni interessate, le quali, dapprima, hanno concesso i benefici di carriera, di retribuzione e di pensione ai profughi della Libia, rimpatriati dopo il colpo di stato di Gheddafi nel settembre del 1969, considerandoli, correttamente, equiparati, a tutti gli effetti, ai profughi per l’applicazione del trattato di pace, in base al disposto dellart. 1, punto 4 della legge 26 dicembre 1981 n. 763, ed ora, invece, li negano prendendo a pretesto una superata giurisprudenza della Corte di Cassazione, peraltro contraddetta da contrarie decisioni della Corte dei Conti, in qualità di Giudice Unico delle pensioni.

Il nuovo atteggiamento delle pubbliche amministrazioni è illegittimo e del tutto discriminatorio nei confronti dei suddetti profughi ed è tanto più grave allorché agli stessi viene chiesto il rimborso, per importi considerevoli, delle somme erogate negli anni a fronte dei benefici concessi, somme che non tutti sono in grado di restituire. Inoltre, anche gli Enti previdenziali, tra cui l’INPS, revocano o non concedono la maggiorazione della pensione di originarie lit. 30.000, prevista dall’art. 6 della legge 15 aprile 1985 n. 140 per i soggetti appartenenti alle categorie di cui dalla legge n. 336/70, basandosi sulla cennata giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale hanno diritto ai benefici della legge n. 336/70 soltanto quei profughi che sono rimasti coinvolti in modo immediato e diretto negli effetti del trattato di pace, nonché quelli che ad essi, con apposite leggi, hanno ottenuto una specifica parificazione(Cass. Sez. Lavoro n:1321 del 15.02.85 e n. 3749 dell’11.04098).

I Giudici della Cassazione hanno, però, interpretato in senso restrittivo la portata del tutto innovativa della Normativa Organica per i profughi di cui alla legge 763/81, il cui art. 1, punto 4, prevede che i profughi da territori esteri in seguito a situazioni di carattere generale che hanno determinato lo stato di necessità al rimpatrio sono equiparati, a tutti gli effetti di legge, ai profughi di cui ai precedenti punti 1,2,3 dello stesso articolo. La Cassazione non ha inoltre considerato il disposto del successivo art. 2, lett. C,4° cpv. , il quale stabilisce che: “Sono considerati profughi, ai sensi del n. 4) dell’articolo precedente i cittadini italiani che siano rimpatriati dai Paesi esteri, o, trovandosi in Italia non possano farvi ritorno a causa di situazioni di carattere eccezionale ivi determinatesi e riconosciute con formale provvedimento dichiarativo dello stato di necessità al rimpatrio.”

Questo è proprio il caso dei cittadini italiani residenti in Libia ed espulsi da quel Paese, previa confisca di tutti i loro beni, nel 1970 a seguito del colpo di stato di Gheddafi del settembre 1969. Pertanto il certificato di profugo della Libia, rilasciato dalle competenti autorità italiane ai sensi della legge n. 763/81, attribuisce loro il diritto di beneficiare di tutte le agevolazioni di stipendio, di carriera e di pensione previste dalla legge 336/70, od, eventualmente, della maggiorazione di pensione prevista dall’art. 6 della legge n. 140/1985.

Il denunciato comportamento delle pubbliche amministrazioni (ministeri, Enti pubblici, INPS) ha determinato un cospicuo contenzioso tra i profughi oggetto dell’azione discriminatoria e le pubbliche amministrazioni stesse, che finora ha avuto esiti contrastanti. Infatti, la Corte dei Conti, sia in sede di controllo che giurisdizionale, ha più volte dichiarato che l’inciso “categorie equiparate” ai profughi per il trattato di pace, contenuto nell’art. 1 della legge 336/70, implica non tanto il riferimento alle situazioni espressamente contemplate nel trattato di pace, ma piuttosto alle equiparazioni che a tale situazione sono state fatte dalla legislazione successiva ed in particolare dalla legge n. 763/81 (delibera delle Sezioni Controllo della Corte dei Conti assunta nell’adunanza del 15.07.1983 e, da ultimo, sentenza 3 marzo 2006, n. 818 della Corte dei Conti – Sez. Giurisdizionale per la Regione Lazio). La Magistratura ordinaria, invece, competente per le cause riguardanti il rapporto di lavoro, si è attenuta ai precedenti della Cassazione in materia.

Risulta, in ogni caso, evidente che l’attuale linea di condotta adottata dalle pubbliche amministrazioni interessate assume carattere discriminatorio in quanto si traduce in una disparità di trattamento di soggetti che sono rientrati in Italia prima del colpo di stato in Libia del 1° settembre 1969 e soggetti che sono rientrati dopo e, quindi, tra profughi in uguali condizioni, in quanto titolari dell’attestato di profugo rilasciato a norma della legge n. 763/1981, così violando l’art. 3 della Costituzione, in particolare, il principio di uguaglianza in senso formale sancito dal primo comma.

Premesso quanto sopra, per superare la descritta incresciosa situazione in cui versano i profughi ingiustamente discriminati, si propone al Parlamento della Repubblica l’adozione di un provvedimento legislativo formulato come segue:

“il riferimento contenuto nell’art. 1 della legge 24 maggio 1970, n. 336 alle “categorie equiparate” ai profughi per l’applicazione del trattato di pace si interpreta nel senso che in dette categorie vanno inclusi, ai fini dei benefici di legge, tutti i profughi in possesso dell’attestato di profugo rilasciato dalle competenti autorità italiane ai sensi della legge 26 dicembre 1981 n. 763, compresi i cittadini italiani rimpatriati dalla Libia successivamente al 1° settembre 1969”.

Si porgono rispettosi saluti.

                                                                                            Il Presidente

                                                                                           Giovanna Ortu

25/10/2007