La nostra Storia

La presenza di una collettività italiana in Libia, documentata a partire dal 1865, aumenta sensibilmente nei trenta anni della nostra colonizzazione e prosegue durante il regno indipendente di Idris caratterizzata da costanti rapporti di fattiva collaborazione.

Gli eventi storici Le vicende della seconda Guerra Mondiale portarono la Libia, che era stata colonia italiana dal 1911 e prima di allora era stata soggetta alla dominazione turca, sotto l’occupazione britannica che si prolungò fino alla Risoluzione dell’ONU del 15 dicembre 1950 con la quale la Libia diveniva indipendente.
I rapporti fra l’Italia e la neonata monarchia libica vennero regolati nell’ottobre 1956 con un trattato bilaterale (successivamente ratificato dal Parlamento italiano con legge n.843/57).

Il Trattato Il trattato del 1956 prevedeva un accordo di collaborazione economica e regolava in via definitiva tutte le questioni fra i due Stati derivanti dalla Risoluzione dell’ONU: fra l’altro l’Italia trasferiva allo Stato libico tutti i beni demaniali e – a saldo di qualunque pretesa – corrispondeva la somma di 5 milioni di sterline.
Lo stesso trattato assicurava la continuità della permanenza della comunità italiana residente nel paese garantendone i diritti previdenziali ed il libero godimento dei beni.

In particolare l’art. 9 stabiliva:Il Governo Libico dichiara, anche agli effetti di quanto previsto dall’art. 6, par. 1 della Risoluzione, in merito al rispetto dei diritti ed interessi dei cittadini italiani in Libia, che nessuna contestazione, anche da parte dei singoli, potrà essere avanzata nei confronti delle proprietà di cittadini italiani in Libia, per fatti del Governo e della cessata Amministrazione italiana della Libia, intervenuti anteriormente alla costituzione dello Stato Libico. Il Governo Libico garantisce pertanto ai cittadini italiani proprietari di beni in Libia, nel rispetto della legge libica, il libero e diretto esercizio dei loro diritti.

L’avvento di Gheddafi Il cambiamento di regime avvenuto in seguito al colpo di Stato del 1° settembre 1969, e l’ascesa di Gheddafi al potere portarono in pochi mesi all’adozione di misure via via più restrittive nei confronti della collettività italiana, fino al decreto di confisca del 21/7/1970 emanato per “restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori”. Gli Italiani privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all’INPS e da questo trasferiti in base all’accordo all’istituto libico corrispondente, furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70.

La violazione del diritto internazionale Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente, del già citato trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonché delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU relative alla proclamazione d’indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel paese. Contemporaneamente il regime requisì anche i beni lasciati dagli ebrei, beni che erano stati presi in custodia dopo la guerra dei 6 giorni del 1967. In quell’occasione, per ragioni di opportunità politica ed economica che sarebbero emerse molti anni dopo da documenti della Farnesina, il Governo italiano ritenne di dover accettare il fatto compiuto senza denunciare la violazione dell’accordo o chiedere l’arbitrato espressamente previsto dall’art. 17.

Le provvidenze elargite negli anni A fronte delle pretese avanzate dagli aventi diritto attraverso i propri organismi rappresentativi, il Parlamento italiano approvò una prima legge per un acconto sugli indennizzi per i beni perduti con coefficienti scalari nella misura media del 15% (legge n° 1066/71) “in attesa di accordi internazionali”. Successivamente i rimpatriati dalla Libia hanno beneficiato soltanto di leggi d’indennizzo, parziali e senza rivalutazione monetaria, a favore di tutti i proprietari di beni perduti all’estero (legge n° 16/80, n° 135/85 e n° 98/94). L’ammontare di queste provvidenze non ha coperto nemmeno il valore nominale delle perdite al 1970.

Il Trattato italo-libico del 30 agosto 2008 Il 30 agosto 2008 Gheddafi e l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi siglano a Bengasi un Trattato internazionale definito “storico”. Questo Trattato tra Italia e Libia, molto esaustivo sul piano dei rapporti bilaterali, prevedeva tra l’altro la fine del contenzioso a fronte di uno stanziamento di 5 miliardi di dollari in favore della Libia come saldo dei presunti danni coloniali, senza attribuire nessun rilievo all’anticipo pagato dai ventimila rimpatriati che hanno perso beni per 400 miliardi di lire valore 1970, pari oggi a oltre 3 miliardi di euro. Con il Trattato peraltro l’Italia ha definitivamente rinunciato ad ogni possibilità di ottenere una qualsivoglia contropartita dai libici per i beni espropriati da Gheddafi nel 1970 mentre ha ottenuto che terminasse la discriminazione del rilascio dei visti turistici nei confronti dei cittadini italiani nati a Tripoli. In sede di ratifica del Trattato l’Associazione ha ottenuto, con l’appoggio dell’intero Parlamento, che venisse inserito un articolo nella legge n° 7 del 2009 per un indennizzo men che simbolico ai rimpatriati.

Le nuove provvidenze a fronte dei beni confiscati Il diritto degli italiani che hanno subito nel 1970 la confisca di tutti i beni in violazione del Trattato del 1956 è stato recentemente ribadito con l’inserimento del già citato art. 4 nella legge di ratifica del Trattato italo-libico firmato il 30 agosto 2008 (legge n° 7/09). La disposizione prevede uno stanziamento triennale dal 2008 al 2011 per un totale di 150 milioni di euro. Il previsto decreto di attuazione ha visto la luce dopo quasi due anni di attesa; fra riserve e cautele poste a tutela dell’Amministrazione e l’obiettiva inconsistenza dei fonti stanziati, gli indennizzi vengono corrisposti con un coefficiente che non copre nemmeno il valore nominale delle perdite al 1970. Nel febbraio 2012 è stato ottenuto un ulteriore stanziamento di 50 milioni nella finanziaria dell’anno in corso che consentirà una seconda tornata di liquidazioni. Questo nuovo segnale di attenzione delle Istituzioni nei confronti dei diritti dei rimpatriati è stato accolto con favore dagli aventi diritto per il suo significato morale in un momento economicamente critico per il Paese.