Un estratto dell’articolo dell’arch. Alessandro Colombo pubblicato su Il Giornale dell’Architettura

TRIPOLI (LIBIA). Quasi sentinelle mute poste a guardia di un mare che luccica sotto il sole, i grattacieli che si ergono ritti sul litorale parlano di un futuro mai avverato. Alle spalle molto più di duemila anni di storia con la medina avvolta da bellissime mura; appena più indietro la città coloniale col suo impianto razionale. Tutto attorno, verso le centuriazioni romane che ancora si leggono nel territorio, la macchia d’olio di un agglomerato che, sotto la pressione delle migrazioni sub-sahariane, è arrivata a 3 milioni di abitanti, stima approssimata non certo per eccesso.

Questo potrebbe essere in sintesi il ritratto di Tripoli. Ma se ci avviciniamo, anche solo un poco, a queste vedute, la realtà ci coglie forse impreparati nella sua crudezza. I grattacieli sono vuoti o non finiti, alcuni hanno tecnologiche vetrate infrante dalle artiglierie della rivoluzione. Il traffico scorre fuori controllo sull’ampia autostrada litoranea voluta al tempo della pretesa dittatoriale di una città forzatamente moderna; il nucleo storico e quello coloniale sembrano quasi sbocconcellati dalle difficili vicende, recenti e non, e dalla massa di persone che qui cercano di condurre una vita (dignitosa). Qualche edificio si manifesta ancora intatto, altri rappresentano il fantasma della loro grandezza, qualcuno è oggetto di primi tentativi di restauro e recupero. Su tutti aleggia la pesantezza di una vicenda storica che è stata fin troppo crudele con questa terra e i suoi popoli, e che gli anni passati non sembra siano ancora riusciti a rendere sopportabile. Ma pur qualche segno di ripresa si coglie.

La città di tre città

Da qui il nome. La fenicia Oyat poi divenuta la romana Oea affiancata da Sabrata e Leptis Magna, ha una storia antichissima che vede la fondazione da parte dei fenici nel VII secolo a.C. e, dalla dominazione romana in poi, è protagonista di scontri, rivolte, distruzione e ricostruzioni che, nel bene e nel male, ci restituiscono un ambiente urbano affascinante.

Sotto il dominio arabo nel Medioevo, pur contesa dal Regno di Sicilia, la città vede una lunga dominazione ottomana a sua volta osteggiata dagli spagnoli in vicende che portano alla costruzione e accrescimento di ampie strutture difensive; in particolare le mura, che, tutt’ora perfettamente visibili, si dipartono dal Castello rosso, emergenza monumentale che contraddistingue ancora oggi il fronte sul mare. Già nell’Ottocento gli scontri con americani e italiani a contrasto delle pratiche piratesche messe in atto nel mare antistante portano turbolenze nell’area che ritorna sotto la dominazione turca finché l’Italia ne prende il possesso, manu militari, all’inizio del Novecento. L’impronta italica si afferma sull’urbanistica e l’architettura con opere, infrastrutture e istituzioni che fanno della città e della regione un fiore all’occhiello della colonizzazione italiana. Il Trattato di Losanna del 1923 riconosce in via definitiva a livello internazionale il possesso italiano della città che vede così nascere le linee ferroviarie per Tagiura, Vertice 31 e Zuara, un moderno ospedale, un sistema di depurazione dell’acqua, un porto fra i migliori dell’Africa Settentrionale, una fiera internazionale, un aeroporto, una litorale che collegava la Tunisia all’Egitto.

L’articolo completo è disponibile al seguente link: https://ilgiornaledellarchitettura.com/2023/05/06/ritratti-di-citta-back-to-tripoli-una-e-trina/