Nei giorni scorsi è arrivata la denuncia da parte di Human Rights Watch per l’inasprimento della repressione della società civile in Libia. In particolar modo, secondo l’organizzazione non governativa internazionale, il Governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli starebbe reprimendo le ong – nazionali e stranieri – e le loro attività.

Come già detto in un altro articolo, il governo – attualmente guidato da Abdulhamid Dbeibah – ha confermato la decisione da parte dell’Ufficio legale del Consiglio supremo della magistratura di rendere illegali tutte le associazioni e organizzazioni della società civile nate dopo il 2011, per la mancanza di una norma che ne regoli l’istituzione. Nella Dichiarazione costituzionale del 2011 era prevista l’emanazione di una legge affinché le organizzazioni non venissero strumentalizzate per ledere l’interesse del Paese dietro falsi slogan democratici e civili. Ad oggi, la legge in vigore è la n.19 del 2001. Il Gnu è poi ritornato in parte sui suoi passi: lo scorso 21 marzo, infatti, è stato emanato il decreto n.7 che consente ad associazioni ed organizzazioni – locali e internazionali – che operano in Libia di continuare a lavorare in regime di legittimità temporanea fino a quando le loro condizioni non saranno modificate ai sensi della già citata legge n.19. Tuttavia, tale norma – approvata durante l’era di Gheddafi – poneva le associazioni sotto la stretta supervisione dell’Assemblea generale del popolo, a cui erano stati conferiti ampi poteri per interferire praticamente in ogni aspetto dell’esistenza di un’associazione senza autorizzazione o supervisione giudiziaria. Gli emendamenti proposti recentemente si limitano a cambiare il nome dell’organo preposto alla supervisione, ma nulla modificano in termini di potere e controllo.

Ancora, la recente emanazione di una legge in tema di criminalità informatica: secondo molti, con l’obiettivo di tutelare l’ordine pubblico e la morale, questa legge limita le libertà di espressione e di privacy. L’ascesa di Internet e dei social media – nonostante tutti i dubbi su quanto tali strumenti aiutino effettivamente a promuovere un confronto democratico – ha prodotto negli ultimi anni una nuova forma di partecipazione, dove gli spazi virtuali vengono utilizzati per accedere a un modo pubblico virtuale decisamente importante laddove, invece, l’acceso a quello fisico è limitato.

Altre questioni hanno attirato l’attenzione degli osservatori internazionali negli ultimi anni, come gli arresti arbitrari e le continue intimidazioni nei confronti di attivisti e difensori dei diritti umani in seguito alle denunce di corruzione o violazione dei diritti. Infatti, oltre agli ostacoli burocratici, le organizzazioni della società civile devono confrontarsi quotidianamente con i gruppi armati affiliati al governo. Mentre su altre questioni la divergenza è inappianabile, entrambe le autorità libiche (occidentale e orientale) sembrano invece condividere lo stesso obiettivo di limitare il più possibile il dissenso nei loro confronti e creare un ambiente privo di critiche verso il potere e i gruppi affiliati.

Il Paese nordafricano da oltre dieci anni affronta una crisi politica che non sembra avere fine. Per uno sguardo più attento su tale passaggio transitorio – in questo caso da un regime dittatoriale – va analizzata quella che è la “salute” della società civile. I libici stanno attraversando una complessa transizione democratica che la contraddistingue da altri casi avuti nella stessa regione – quelle tunisina ed egiziana su tutte. La sua società deve affrontare sfide continue in un contesto che vede una sempre più sfiducia nei confronti delle istituzioni e degli attori politici che da anni tentano di tutelare i propri interessi e mantenere quel potere guadagnato con la caduta di Moammar Gheddafi. Mentre negli anni precedenti lo scoppio della rivolta del 2011, la società civile consisteva soprattutto in una serie di attori consolidati, negli ultimi anni si è vista la nascita di nuove figure che scelgono di mobilitarsi al di fuori delle strutture precedenti. Tuttavia, se da un lato, l’emergere di una società pluralista può solo migliorare le condizioni di salute di uno Stato, dall’altro, esistono diversi dubbi su quanto alcune organizzazioni siano veramente rappresentative (e inclusive) della società. La partecipazione alle strutture della società civile, infatti, tende ad essere più bassa tra i giovani meno istruiti, disoccupati o provenienti da aree rurali. Tale difetto, evidentemente, si riproduce anche nelle istituzioni politiche, con una conseguente “doppia esclusione”.  Le divisioni urbani/rurali, ma anche quelle socio-economiche e politiche, possono riflettere quella frattura presente all’interno della Libia. Ciò nonostante la scelta che le persone fanno di dissociarsi attivamente dagli schieramenti polarizzati e lavorare per il bene comune è ciò che crea e alimenta la società civile, attraverso un lavoro di sostegno al processo democratico (elettorale e costituzionale), che mira ad una maggior partecipazione possibile di individui. Ma, come già detto, tale lavoro si scontra con la realtà dove, nel contesto libico così come in altri della regione, la pressione politica è la principale sfida per la società civile, e la repressione delle libertà di espressione e/o associazione è una reazione ai “successi” ottenuti con le rivolte del 2011.

Una maggiore attenzione da parte della comunità internazionale sarebbe necessaria per un miglioramento delle condizione di tutta la società civile. Infatti, quest’ultima è  elemento essenziale per quella riconciliazione nazionale determinante per la fine dell’ultradecennale crisi. In un contesto di pace, la società civile è attore importante quanto le istituzioni statali e il settore privato; così come, in contesti destabilizzati, può essere utile per gettare le basi per la riconciliazione. Al contempo, la lotta alla corruzione, al malgoverno, all’ingiustizia e a tutti i fattori che causano tali fenomeni richiede un maggior impegno della società civile con gli altri attori presenti – locali, nazionali e internazionali. Il coinvolgimento dei diversi protagonisti della società civile (così come la loro autoconsapevolezza) è decisiva per la costruzione di alleanze solide che abbiano l’obiettivo di una svolta positiva nel percorso verso la stabilizzazione definitiva del Paese. In e con una società unita, la pace arriva molto più velocemente e allontana lo spettro di un ritorno al  rispetto al conflitto.